In questo articolo si affronta un aspetto, il marketing dell’inclusività, che si sta via via diffondendo tra le aziende che vogliono sfruttare fino in fondo tutte le situazioni legate al pubblico e alle molteplici caratteristiche che possiede: genere, reddito, origini culturali ed etniche.
Con il marketing dell’inclusività si pone al centro di tutto la diversità: l’insieme multiplo delle realtà e identità che caratterizzano le comunità della società di oggi. Si cerca, in modo particolare, di trasmettere che il proprio brand è costruito per tutti i clienti. Ciò significa che non si farà più lavoro di segmentazione? No, anzi, sarà ancora più specifico e puntuale. Si lavorerà in modo trasversale sul pubblico perché il brand sarà in grado di parlare ai propri clienti includendo tutte le sfumature nella propria comunicazione.
Per farti capire meglio di cosa sto parlando passo direttamente ad esempi di aziende che hanno già fatto del marketing inclusivo la loro leva distintiva rispetto ai propri competitor. Sono marchi molto noti sul mercato che hanno deciso di diffondere messaggi di coesione sociale e sensibilizzazione.
Coca-Cola Nederland per una campagna pubblicitaria ha usato il concetto di inclusione che sta alla base di tutta la campagna pubblicitaria. La protagonista è una ragazza musulmana praticante durante il periodo del ramadan e lo spot si intitola Coca-Cola Sunset.
L’azienda Diesel, durante il mese dei Pride a cavallo del 28 giugno, ha lanciato una collezione dedicata all’orgoglio LGBT. L’azienda, oltre a lanciare la linea dedicata al mondo LGBT, ha anche fatto una campagna social. Per il post sul pride nella pagina ufficiale di Diesel si sono verificati 14.000 unfollow. La risposta dell’azienda non si è fatta attendere.
Per celebrare i 70 anni della propria storia Adidas ha lanciato una campagna pubblicitaria sui propri social con alcuni dei suoi testimoni più famosi. Quella che, ovviamente, ha fatto più parlare di sé è quella con protagonista una delle stelle più affermate della lega professionistica NBA, James Harden. Di seguito i commenti apparsi sulla pagina Facebook di Adidas Italia.
La stessa Adidas, tra i commenti, è intervenuta per chiudere la questione: «No al razzismo, solo creatività. In Adidas può giocare qualsiasi giocatore, siamo una squadra di MVP, fuori e dentro il campo. Non c’è spazio per il razzismo nella nostra community, sentiti libero di non seguirci più. Non abbiamo bisogno di te».
La domanda che sorge spontanea a questo punto: esistono dei problemi derivati dal passaggio al marketing d’inclusività? A guardare questi ultimi due esempi parrebbe proprio di si. Ma come reagiscono le aziende coinvolte? Non se ne preoccupano minimamente, anzi, in questi casi rincarano pure la dose dicendo che di questi clienti non sanno che farsene. Ok dirai tu, ma non siamo tutti Coca-Cola, Diesel o Adidas. Ti rispondo che hai ragione, ma qui la cosa che conta maggiormente è che ci si deve sforzare, se riteniamo che il nostro brand debba rivolgersi a tutti, di intraprendere questa strada. Non è facile, sono il primo a dirlo, si rischia di fallire soprattutto se la comunicazione di brand non è omogenea, ben congegnata e studiata a tavolino. Diesel ad esempio ha sempre fatto della provocazione uno dei valori della propria comunicazione aziendale. Adidas ha i migliori atleti sulla faccia della Terra ed è facile per l’azienda puntare sugli aspetti dell’inclusione. Molto più difficile è per un’azienda in un mercato locale, magari molto schierato contro l’inclusione, poter intraprendere una strategia di marketing inclusivo. Magari rischia solamente di essere accusata di voler speculare e guadagnare facile.
Conclusioni
Quindi che fare ti starai chiedendo? Me ne frego o punto sul marketing dell’inclusività? Secondo me è una scelta vincente. Ti permette di rivolgerti a tutte le persone che popolano questo mondo; ti agevola anche nell’instaurare relazioni b2b perché la tua immagine ne guadagna in termini di percezione e di posizionamento rispetto a determinati concetti che al giorno d’oggi stanno facendo la differenza relativamente al mondo in cui vogliamo far vivere i nostri figli. Poi se invece sei uno che crede che è meglio il marketing divisivo, allora questo articolo non fa per te.
Noi di Old Boy, nel nostro piccolo, crediamo molto nel comunicare sempre un messaggio. Il nostro logo, ad esempio, è stato pensato proprio per questo: la bandiera arcobaleno che lo caratterizza è una chiara dichiarazione di come vorremmo che fosse la società in cui viviamo. Una comunità fatta di persone che non hanno nessun tipo di preclusione verso gli altri, perché come dice Marina Abramović in una sua opera: “We’re all in the same boat”. E per essere ancora più espliciti abbiamo dedicato un’etichetta dei nostri vini al tema dell’inclusività: un patchwork di volti che sottolineano le varie espressioni delle persone del proprio modo di essere.